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Thomas Bossard - La marelle |
Il giovane
critico, l’epa avvolta in magliette o maglioni, detesta la camicia; il giovane
critico, barbuto e arruffato, occhialuto, miope, un sorriso smagliante e la noja
nella ruga della fronte, detesta la propria voce che chiama – definisce – fessa;
Il giovane critico… siede scomposto. Sempre. Si tratti della sedia di una
trattoria dove mulina le braccia in lieti conversarî, di quella conferenziale
delle sedute conferenziali, dove mulina le braccia… Talvolta siede per terra,
per essere più informale, per somigliare allo studente in salopette con la
tracolla floscia.
Il giovane critico invecchia irrimediabilmente ma resta
giovane anche a trentacinque o a quarant’anni. Anche a quarantacinque. (E,
d’altra parte per tutti è e resta un giovane critico). È un Puer
aeternus; ed anche un Kulturkritiker polifonico e cacofonico. Si diverte
– e (si) perverte – nel rovesciare i giudizî critici consolidati: quello che
sta in alto lo sposta in basso; quello che sta in basso, in alto. Ed è questa
meccanicità a insospettire. Una volontà programmatica il cui programma è
arrivare: il giovane critico è un arrivista. Ha dei maestri, il giovane
critico, che ama e che rispetta; ai quali s’ispira. Sono un po’ come lui:
polemici, sarcastici... Però a tutto ciò essi sono giunti tardi, quando il ‘demi-monde’
della cultura – lasciatemi scrivere così – ha cominciato a trovarli superflui:
superflui fra i superflui.
Il giovane
critico è sempre, alla sua maniera, critico militante. Che significa critico
militante? Non vorremo davvero porci un simile interrogativo e (soprattutto) provare
a rispondervi! Non ne usciremmo vivi. (Ecco una maniera per uscirne senza
sfigurare troppo). Il giovane critico militante sa pestare i piedi ‘giusti’
benché talvolta gli capiti di pestare quelli ‘sbagliati’: in quest’ultimo caso
non se ne dispiace troppo, trovandovi l’occasione per reclamizzare la propria ‘obiettività’.
S’è detto che il giovane critico vuole ‘arrivare’; aggiungo che vuole passare
alla storia: e in ciò è confortato da una frase di René Wellek: «La critica non
può essere estromessa dalla storia letteraria».
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